Perché si dice “olio a crudo” e non olio crudo?
Italia Olivicola2023-08-23T14:35:50+00:00Lo sapevate che alla
voce “olio a crudo” Google presenta ben 64.100 risultati?
“A cottura ultimata,
aggiungete un filo d’olio a crudo” è divenuta ormai una frase solenne, pronunciata
solitamente durante un cooking show o al termine di una ricetta come
suggerimento volto a valorizzare le proprietà sensoriali del piatto
stesso.
Sicuramente questo
irrinunciabile “tocco finale”, l’aggiunta di olio extravergine d’oliva,
consolida il sapore della pietanza. Ciò è particolarmente vero per primi
piatti, zuppe e contorni vari. L’utilizzo dell’olio extravergine di oliva
crudo, anziché in cottura, non solo rende l’olio più sano e meno calorico,
ma gli permette anche di conservare le sue proprietà antiossidanti e il
suo caratteristico sapore amaro, come ben sanno gli intenditori.
La frase idiomatica “a
crudo” trova sicuramente maggior riscontro nella lingua della cucina, con
particolare riferimento all’olio, per sottintendere l’azione del “condire
a crudo”, cioè aggiungere a fuoco spento un condimento su una pietanza
cotta (una zuppa, una pasta, un bollito, una tagliata) o cruda
(un’insalata, una bruschetta, un’emulsione).
Ma pochi sanno che
questa locuzione avverbiale trova riscontro nella secolare letteratura
gastronomica, risalente addirittura ai primi del Novecento. Fu allora che il
noto cuoco romano Adolfo Giaquinto, nel suo ricettario “Il mio libro: cucina
di famiglia e pasticceria” (Grottaferrata, Scuola Tip. Italo-Orientale “S.
Nilo”, XI edizione, 1931 [1a ed. 1899], p. 17), suggeriva di mettere
l’olio a crudo nella ricetta del brodetto di pesce per renderlo più
gustoso:
“Sia che l’olio messo a
crudo col pesce dia più buon gusto, sia che il pesce dell’Adriatico sarà
più gustoso per natura, il fatto è che questo brodetto nella sua
semplicità riesce squisitissimo”. La letteratura gastronomica moderna e in
seguito i manuali di cucina presentano impieghi ad ampio spettro di
condimenti a “crudo”, includendo non solo l’utilizzo dell’olio ma anche di
altri condimenti, quali ad esempio pesto, salsa di noci, pomodori, ecc.
Impieghi ancora più ampi
dell’espressione a crudo sono oggi riferibili anche alla sfera delle
pratiche e tecniche di preparazione che si seguono in cucina. Questa
espressione, inoltre, trova ampia applicazione quando si devono preparare
alcuni cibi prima di sottoporli a cottura, o in relazione ad
altre locuzioni appartenenti al cosmo della gastronomia quali:
“passare”, che significa ‘far rosolare
brevemente’ o ‘immergere brevemente’ come confermato in un testo
gastronomico molto importante della fine del sec. XVIII:
“Se volete passare
l’erbe a crudo […] mettete un poco d’olio, o butirro in una cazzarola,
fatelo scaldare con una cipolletta con due garofani, quindi stemperateci
fuori del fuoco due alici passate al setaccio, e metteteci l’erbe ben
tagliate, lavate, asciugate, ed in una discreta quantità”
(Francesco Leonardi, Apicio moderno, Roma, s.t., vol. V, 1790, p. 17);
“marinare”, cioè ‘tenere
immersa una vivanda, spec. pesce o carne, in una salsa a base di aceto,
vino’ (GRADIT):
“Prendete un bel pezzo
di storione, ed in mancanza una porcelletta, cioè a dire uno storioncino;
fatelo marinare a crudo per otto o dieci ore” (Vitaliano Bossi,
L’imperatore dei cuochi, Roma, Perini, 1894, p. 24);
“friggere”:
“Baccalà dorato o alla
pastella. Si prepara in più modi: cioè si può friggere a crudo o dopo
prolessato” (Adolfo Giaquinto, Il mio libro cit., p. 145);
“sfilettare”, cioè
‘separare tenendo intere le parti carnose del pesce dalla lisca centrale
e da quelle laterali’ (GRADIT):
“Sfilettate a crudo il
pesce Sanpietro o, meglio, fatevelo sfilettare dal venditore” (Dr.
Nautilus, Come si cucina il pesce cit., p. 209);
“tagliare”:
“A crudo [il baccalà] si
taglia a pezzi o s’infarina soltanto e si bagna coll’acqua, o s’infarina e
si passa all’uovo, oppure s’intinge in una pastella ben liquida” (Adolfo
Giaquinto, Il mio libro cit., p. 145);
Contrariamente, per
indicare la preparazione di un alimento dopo averlo sottoposto all’azione
del fuoco si usava in passato l’espressione a/al cotto. Riprendendo il
discorso sull’olio, i dizionari storici registrano una varietà di olio crudo
chiamata olio onfacino (o omfacino, omphacino, onfangino), ricavata dalla
‘spremitura delle olive non ancora mature’. Ancora oggi alcuni
frantoi italiani producono e promuovono tra i loro oli migliori un tipo di
olio extravergine di oliva onfacino, ritenuto di alta qualità in quanto
ottenuto da olive raccolte mediante procedimenti meccanici direttamente
dalla pianta durante l’invaiatura.
Ad ogni modo il sintagma
“a crudo” trova oggi particolare diffusione in relazione alle nuove
tendenze alimentari che promuovono il consumo di ingredienti naturali e
non trattati, come avviene nell’ambito della cosiddetta dieta “crudista”, che
prevede il consumo di alimenti non sottoposti a cottura (in
particolare frutta, verdure, germogli, fiocchi di cereali, ma anche
alimenti di origine animale come uova, pesce e carne bovina), in quanto
ritenuti più sani. Tutto questo fa assumere alla locuzione l’accezione di
naturale, genuino quindi non adulterato, manipolato, sofisticato, ma del
tutto semplice e chiaramente sano.
Le stesse espressioni
“olio crudo” e “olio a crudo” diventano persino dei marchi commerciali o
denominazioni di illustri pizzerie e ristoranti diffusi sia in Italia che
all’estero.